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L’abbandono dei Sassi: deportazione o agognato trasferimento?

di | Temi culturali

È la domanda che più di frequente pongono i turisti in visita a Matera ai diversi operatori con i quali capita di entrare in contatto; ritorna con insistenza, forse perché ricevono risposte diverse, spesso contraddittorie.

Quando un sito storico diventa un’attrattiva a livello mondiale, è facile cadere nella tentazione di permeare il luogo di un alone romantico: affermare che gli abitanti dei Sassi furono portati via dalle loro case fatiscenti con la forza, che rimpiansero le grotte per il resto della loro vita, che fu loro impedito di ritornarvi, risulta, in effetti, suggestivo per i visitatori che pensano quasi con tenerezza a chi non desiderava essere strappato da quelle cavità che tanto bene evocavano il ventre materno. A questo sentimento, però, si accompagna una inevitabile incredulità: come si poteva non desiderare un’abitazione non umida, dotata di impianti idrici e fognari, in cui non ci fosse promiscuità fra i componenti della famiglia e con gli animali? Da qui l’insistenza nel chiedere, per ricevere una risposta credibile e, magari, documentata.

Una fonte di indagine senza dubbio attendibile è lo studio su Matera promosso dall’UNRRA-Casas (United Nations Relief Rehabilitation Administration) che si protrasse dal 1951 al 1955 ed impegnò un gruppo di specialisti appartenenti ad aree culturali diverse e coordinati dal sociologo Friedmann, professore dell’università di Arkansas. Dopo aver visitato la città, lo studioso aveva avvertito, da un lato, il bisogno di approfondire la conoscenza di quei contadini che vivevano in uno stato “di quieto abbandono, dominati dalla natura”, dall’altro, l’esigenza di programmare un intervento che li aiutasse “a raggiungere un poco degli agi e delle speranze di un mondo più moderno”.

C’è da dire che già in quegli anni il mondo contadino non era più fermo e isolato come nei secoli precedenti: l’emigrazione, il commercio, i contatti con il mondo esterno favoriti dal servizio di leva, l’arrivo della luce elettrica, la radio, il cinema avevano aperto nuovi orizzonti di vita e avevano consentito ai componenti delle classi disagiate di comprendere che era possibile aspirare a stili di vita più dignitosi; che la loro condizione non era determinata da forze soprannaturali o dal destino, ma da altri uomini che fondavano i propri privilegi sullo sfruttamento delle classi subalterne a cui si impediva di soddisfare i bisogni in modo adeguato, quegli stessi signori e galantuomini (vecchia e nuova nobiltà) che risiedevano sul piano, in una posizione dominante rispetto alle migliaia di contadini, pastori e artigiani che vivevano nei Sassi.

Si stava cominciando a formare una coscienza di classe, per cui quelle che in passato venivano considerate magnanime concessioni da parte dei potenti benestanti ora iniziavano ad essere percepite come sacrosanti diritti. A tale cambiamento avevano contribuito anche le prime organizzazioni sindacali e le prime leghe (soprattutto quella organizzata dal “monaco bianco”) e l’allargamento del suffragio universale.

Della commissione Friedmann faceva parte Tullio Tentori che curò l’indagine antropologica inserita nello studio. Egli scrisse “Vecchi, giovani, bambini, uomini, donne implorano, pregano, scongiurano, pretendono giustizia” e riportò nella sua relazione alcuni desideri degli abitanti dei Sassi, raccolti in occasione di un’inchiesta sullo stato delle abitazioni.

Riportiamo di seguito una di queste testimonianze e invitiamo chi volesse approfondire l’argomento a leggere il testo “Matera 55” (ed. Giannatelli) che raccoglie i risultati dello studio sulla città.

Un padre di sette figli così descrive le proprie condizioni: “La mia casa è umida, insufficiente ai bisogni della famiglia che è composta da nove persone. Comprende un solo vano e lì dobbiamo dormire uomini e donne. È un’antica grotta che è stata accomodata a casa, per cui l’eccessiva umidità minaccia la salute specialmente dei piccoli. Essa dista circa 200 metri dal fontanino più vicino ed è pesante trasportare acqua, anche per le numerose scale interposte. La scuola per i bambini è molto distante. Oltre a tutto questo, si aggiunge che non c’è un gabinetto né una finestra perché possa esserci aereazione. È necessario che quella casa non sia usata neanche per gli animali, perché anche questi ne soffrirebbero a restare in quella tana…”

Quindi gli abitanti dei Sassi desideravano e chiedevano di andare via dagli antichi rioni e non risulta che, dopo il trasferimento, abbiano tentato di ritornarvi; qualcuno, che aveva formato un nuovo nucleo familiare, lo fece temporaneamente, ma solo per maturare i requisiti necessari per l’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare.

Nei decenni dell’abbandono, i Materani rimossero quasi dalla propria coscienza questa pagina della propria storia che evocava una vita fatta di sofferenze e privazioni, addirittura fu interrotta la trasmissione delle tradizioni alle nuove generazioni che hanno potuto recuperare la conoscenza di usi, costumi e consuetudini del passato solo in concomitanza con le vicende relative al recupero ed alla valorizzazione dei Sassi. Questi ultimi, dopo il risanamento, divennero un buco nero al centro della città: alcuni vi si recavano solo per svolgervi attività domestiche che avrebbero sporcato le nuove abitazioni (vino, salsa); altri sfruttavano a vario titolo gli anfratti abbandonati (discariche di inerti, alcuni club per i giovani degli anni ’70, luogo operativo per malavitosi).

Certo, il trasferimento nei nuovi quartieri comportò inizialmente dei problemi di adattamento soprattutto per gli anziani che dovevano individuare nuovi luoghi di riferimento per la propria vita sociale, ma fu un disagio fisiologico e transitorio: i giovani si adattarono subito e le donne videro la loro vita sollevata da tante dolorose e faticose incombenze, grazie ai servizi presenti nelle nuove abitazioni.

In definitiva, i Sassi sono di per sé molto suggestivi e, con il proprio carico di Storia, testimoniano fortemente la capacità dell’uomo di sopravvivere e di organizzare la propria vita nelle condizioni ambientali più estreme: non hanno bisogno di favole e leggende per risultare più affascinanti.

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La gran parte dei contadini viveva nelle grotte o, più tardi, in un ‘lamione’ posto a pianterreno e costituito da un solo vano, illuminato ed aerato dalla porta d’ingresso e da un finestrino sistemato sulla sommità della porta stessa. La stalla era tutt’uno con l’abitazione degli uomini: a volte la mangiatoia era tanto vicina ai […]

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