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Cantina pubblica (Ciddaro)

I cellari (ciddari) erano cantine e luoghi di svago per contadini e piccoli artigiani che vi si incontravano nelle ore serali per parlare dei problemi quotidiani, soprattutto di inverno, quando erano più liberi dai lavori dei campi.

I cellari erano ambienti ricavati nel tufo della Murgia, molto più spaziosi delle abitazioni, infatti si inoltravano per tratti considerevoli nelle viscere della terra e si presentavano più ampi in prossimità dell’ingresso, dove erano collocati il banco della mescita ed i tavoli per gli avventori. Non si trattava di osterie, infatti i clienti portavano da casa i cibi da consumare (ceci arrostiti, finocchio, taralli, pane e formaggio, involtini…): nella cantina, quindi, compravano e bevevano il vino e giocavano a carte, scaricando la fatica, la frustrazione, la delusione, il risentimento per la propria condizione di sottomessi.

I proprietari dei cellari producevano in loco il vino: i grappoli d’uva giungevano nelle gerle di ferula (le frizzole) e venivano schiacciati con torchi di legno (quercia) incassati nelle pareti o pestati con i piedi in loggette scavate nella roccia (palmmidd). Le botti piene di vino e tutti gli attrezzi dei vinai venivano conservati nella parte più profonda della cantina, lo sterno (u stern).

Al momento della mescita il vino veniva spillato direttamente dalle botti e servito in boccali variamente decorati (rzzil).

Tra un bicchiere e l’altro gli avventori giocavano a carte: uno dei giochi più ricorrenti era ‘padrone e sotto’.

I cellari erano preclusi in modo assoluto alle donne: solo la proprietaria della cantina (la cantinera) poteva starci, rispettata dai clienti.

Caldi, accoglienti, piacevolmente rumorosi, i cellari erano luoghi che assicuravano la pace dei sensi e un rametto di ulivo sempre appeso a una delle pareti sottolineava questa loro incontestabile peculiarità.

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