Il termine “taglia” presenta diverse accezioni: lo utilizziamo solitamente per indicare la misura di un capo di abbigliamento o l’ammontare della ricompensa promessa per la cattura di un fuorilegge.
Nel mondo contadino lucano, indicava una sorta di registro delle giornate lavorative di un bracciante. Consisteva in un bastoncino di legno lungo circa 20 cm, diviso nella parte inferiore in due parti, in senso longitudinale: una restava in dotazione del lavoratore, l’altra del datore di lavoro. Le giornate lavorative e il tipo di attività svolta nei campi venivano annotati da entrambi con una serie di segni convenzionali incisi nel legno.
Sulla “taglia” conservata nel Museo Laboratorio della Civiltà Contadina e degli Antichi Mestieri di Matera si susseguono delle X che si alternano ad alcune C ed L: è molto improbabile che tali segni fossero riconducibili ai numeri romani, in quanto indicherebbero un numero enorme di giorni di lavoro; si tratta sicuramente di simboli concordati fra le parti, infatti ad essi si affiancano anche delle E.
Al momento della paga, le due sezioni venivano accostate per una verifica del numero dei giorni annotati; si procedeva, quindi, al saldo senza incertezze e contestazioni.
Era, in definitiva, uno strumento primitivo, ma ingegnoso, che evitava discordie fra persone molto laboriose, ma scarsamente alfabetizzate, e fattori che amministravano le proprietà terriere in rappresentanza dei latifondisti o piccoli proprietari che, periodicamente (in occasione della mietitura, della trebbiatura, della vendemmia, della raccolta delle olive), usufruivano dell’attività dei braccianti.
Ovviamente, in tali circostanze, venivano impegnati più lavoratori, anche con mansioni diverse. Come si individuava la “taglia” di ciascuno di essi? Semplice: sulla superficie esterna delle due sezioni si incidevano tacche variamente disposte che, accostate, dovevano ricomporre il “disegno” originario.