Nelle famiglie contadine lavoravano tutti: uomini, donne e ragazzi.
La giornata del contadino iniziava alle prime luci dell’alba: si levava dal giaciglio imbottito di foglie secche di granturco, si dirigeva verso la stalla per pulirla e raccogliere il letame da utilizzare come concime; ‘governava’ gli animali, caricava sui muli gli attrezzi che intendeva portare con sé, e si avviava verso il traino.
C’erano contadini che non possedevano neanche quel rudimentale mezzo di trasporto, per cui erano costretti a recarsi in campagna in groppa al mulo o all’asino sul cui dorso sistemavano il basto.
I salariati e i giornalieri, che non possedevano né terre né muli, e lavoravano per conto di ricchi proprietari presso le masserie, raggiungevano il posto di lavoro a piedi.
L’anno di lavoro iniziava subito dopo la mietitura e la trebbiatura, con la bruciatura delle ristoppie.
Alle prime piogge, seguiva l’aratura, con aratri di ferro a uno o più vomeri; si passava, quindi, alla semina e alla concimazione, utilizzando lo stallatico.
I primi prodotti raccolti erano le fave, le lenticchie, i piselli; a metà giugno cominciava la mietitura cui seguiva la trebbiatura.
Prevaleva la cerealicoltura, ma non mancavano altre colture (olive, uva); di conseguenza gli agricoltori si dedicavano ad attività secondarie come la raccolta delle olive e la vendemmia.
Anche nel mondo contadino esisteva una stratificazione sociale: accanto ai proprietari di una decina di ettari di terreno e di tre-quattro muli, vi erano piccoli contadini che possedevano pochi tomoli di terra e uno-due muli.
Seguivano i ‘giornalieri’ che trovavano occupazione nei periodi dei grandi lavori stagionali, e i ‘salariati’ che lavoravano con contratto annuale presso le grandi masserie dei ricchi proprietari terrieri.
Il lavoro di questi ultimi veniva coordinato dal ‘massaro dei campi’, coadiuvato dal ‘massaro della vigna’ e dal ‘massaro dell’oliveto’.