Le pratiche del riciclo e del riuso, prepotentemente tornate alla nostra attenzione negli ultimi anni, erano alla base delle attività domestiche e produttive del passato.
Oggi sono giustificate dal problema enorme dello smaltimento dei rifiuti, mentre in tempi ormai lontani avevano motivazioni di tipo economico, in quanto consentivano di evitare l’acquisto di ulteriori materie prime necessarie per produrre nuovi oggetti.
Nel mondo agricolo-pastorale e nell’ambito della produzione artigianale ad esso strettamente connesso, nonché nelle consuetudini della vita quotidiana, si avvertiva fortemente la dipendenza della vita umana dall’equilibrio delle forze naturali: ciò portava gli uomini a rapportarsi con l’ambiente circostante in modo più rispettoso, evitando lo sfruttamento dissennato delle risorse naturali, seguendo l’istinto, più che per una consapevole cultura ecologica. I nostri antenati, forse, più di noi si sentivano parte di un gigantesco ecosistema e rifuggivano quella filosofia antropocentrica che, in concomitanza con il consumismo e con il concetto dell’ “usa e getta” che ne costituisce il fondamento, ha determinato lo sfacelo ambientale con il quale oggi ci ritroviamo a fare i conti.
Il riciclo era costantemente presente, per esempio, nelle attività edili: i muratori ricavavano tufina, brecciolina e ghiaia dai residui delle demolizioni di vecchie murature, attraverso un paziente lavoro di frantumazione e selezione di pietrisco di varie dimensioni reso possibile dall’uso di mazzuole e setacci con griglie di diverso calibro.
I cocci di terracotta dei manufatti che i conciapiatti non avrebbero più potuto riparare venivano ulteriormente schiacciati, ridotti in polvere ed utilizzati, con la malta fine a base di calce aerea, per produrre il cocciopesto, un intonaco usato come rivestimento impermeabile per pavimenti e cisterne.
Anche i falegnami non disdegnavano di produrre nuovi manufatti assemblando elementi ancora in buono stato di vecchi mobili demoliti perché danneggiati in alcune parti della loro struttura: in fase di restauro si verifica spesso, nel medesimo arredo, la presenza di elementi di legni diversi opportunamente modificati e adattati alla nuova funzione.
Nelle legatorie non si esitava a utilizzare fogli di pergamena, residui di antichi libri anche manoscritti, per rinforzare le copertine delle nuove pubblicazioni: la necessità del recupero prevaleva su quella di un potenziale restauro.
È il campo del riuso, comunque, quello che riserva maggiori sorprese ed evidenzia l’inventiva e la creatività di chi ci ha preceduti: lattine di petrolio trasformate in erogatori di acqua dagli arrotini; barattoli di conserva diventati griglie per setacci; capelli recuperati nelle botteghe dei barbieri e usati per imbottire collari e selle; parti di fusto di cannone, con decorazioni liberty in ghisa, convertite in stufe a carbone (le “parigine”); code di cavallo innestate su bastoni di legno e utilizzate come scacciamosche; vecchi pneumatici, in cui si inserivano appositi cinturini in cuoio, utilizzati come scarpette antiscivolo per i muli; corna di buoi, chiuse alla base da tappi di legno, trasformate in oliere per i pastori.
A queste pratiche si aggiungeva l’importantissima attenzione ad utilizzare i materiali residui in modo variegato, per poterne sfruttare tutte le potenzialità: la cenere trovava impiego come concime, come detergente nel bucato (la liscivia) o nella concia delle pelli; il letame veniva utilizzato anch’esso come concime; i gusci delle uova, polverizzati e mescolati con acqua e cenere, servivano a creare un impasto usato dai conciapiatti per ricoprire le cuciture sulle terrecotte riparate.
C’è da dire che il riuso del passato aveva un senso più compiuto rispetto a quello attuale: oggi, spesso, dà l’illusione di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, mentre in realtà si limita a procrastinarlo nel tempo, in quanto le sostanze non biodegradabili tali restano anche se diversamente impiegate.
In conclusione, i nostri antenati si muovevano, nel campo della produzione dei manufatti e nella pratica quotidiana, guidati da un forte istinto di autoconservazione, lo stesso che l’umanità attuale, paradossalmente più istruita e consapevole dei rischi a cui va incontro, pare stia smarrendo. Non si spiegherebbero diversamente, infatti, sia lo sfruttamento insensato delle risorse naturali che l’inquinamento perseverante del suolo, dell’aria e dell’ acqua.
Sono problemi immani per la risoluzione dei quali poco o nulla potremmo fare con la pratica del riuso: siamo tutti consapevoli del fatto che andrebbero risolti con scelte etiche e coraggiose (perché spesso antieconomiche) sia da parte dei produttori (multinazionali in primis) che da parte dei consumatori, nel momento degli acquisti.