I conciapelli svolgevano la propria attività in alcune grotte di Via Casalnuovo, alla periferia del Sasso Caveoso, per limitare il fastidio causato dal cattivo odore emanato dalle pelli da conciare.
Queste ultime, dopo la scuoiatura, per evitare che andassero in putrefazione, venivano cosparse in modo uniforme (dalla parte del carniccio) di sale e di cenere, quindi piegate e accatastate, per sette-otto giorni, in grossi contenitori di argilla.
In tal modo i grassi si scioglievano e si rallentava il processo di decomposizione.
Seguiva il lavaggio in grandi botti o in vasche di pietra.
Per evitare che le pelli si irrigidissero, le si strofinava con pezzi di tufo o con pietra pomice su apposite pietre lisce e ricurve.
Nel caso in cui si doveva eliminare il vello, le pelli venivano trattate con sale e cenere (contenente carbonato di potassio) o con il tannino, una sostanza acida presente nella corteccia delle querce e dei castagni che insolubizzava e rendeva imputrescibile il carniccio; successivamente le si lasciava in ammollo in vasche di pietra, per la caduta del pelo.
Per evitare che si ritirassero, i conciaioli le tendevano su appositi telai; per snervarle e renderle più morbide e idonee alla lavorazione, le schiacciavano con pesanti ruote di pietra.
Le pelli dei bovini trovavano impiego nella realizzazione di finimenti, basti, selle, suole, ‘strappe’ per i barbieri.
Le pelli di agnello, morbide e sottilissime, venivano utilizzate per preparare la cartapecora, particolari setacci, strumenti musicali (tamburelli, cupa-cupa), tomaie…
Con esse, inoltre, i pastori confezionavano bisacce e gilets molto grossolani o proteggevano le ginocchia durante la mungitura.
In tempi più remoti, quando non si disponeva di materiali ed attrezzi per la concia, le pelli venivano lasciate a macerare sotto mucchi di letame: in tal modo, le sostanze acide contenute negli escrementi bloccavano la putrefazione del carniccio che, a sua volta, serviva a preparare l’omonima colla.