A Matera era fiorente la produzione di manufatti in terracotta (oggetti di uso domestico, materiale edilizio), perchè abbondante era la disponibilità della materia prima: l’argilla.
Essa veniva cavata dai calanchi e dai bacini lacustri ed accuratamente ripulita dalla calce, per evitare che gli oggetti prodotti scoppiassero durante la cottura. Successivamente veniva resa morbida dai ‘pestacreta’, che la rendevano lavorabile pestandola sotto i piedi e bagnandola ogni tanto con un po’ d’acqua. Quando era pronta, il fornaciaio la modellava con l’aiuto del tornio, uno strumento rudimentale consistente in due dischi di legno collegati da un sostegno di ferro che giravano azionati dai piedi del vasaio. Gli oggetti prodotti venivano cotti nelle fornaci, grandi forni che il vasaio portava a temperature elevate usando come combustibile fascine di rami di ulivo o la paglia di lino e di grano. Nelle fornaci si producevano mattoni, piatti, pentole di terracotta, pluviali cilindrici, cucumi, rizzole, capase, capasoni.
Oggetti presenti in tutte le case erano: la ‘spése‘ , unico piatto in cui mangiava tutta la famiglia, ‘u uauattidd‘, una specie di coppetta atta a contenere la carne, i legumi, l’insalata e la ‘cialledda‘, ‘u maiustr‘, versione maggiorata del ‘uauattidd‘, usato per riporvi il lievito; ‘la giorl‘, una caraffa con l’orlo arrotondato ed una sola ansa, usata per mescere acqua o vino, ‘u chicm‘, con la bocca stretta e due anse sotto il collo , usata per portare l’acqua da bere sul posto di lavoro, ‘u rzzil‘, una brocchetta verniciata, con il collo largo e la bocca che si restringeva a triangolo, ‘la rzzoul‘, una brocca più capiente, con il collo dritto e due anse, usata per attingere l’acqua dalla fontana, le ‘capase‘, i ‘capasoni‘, i ‘pedali‘, erano recipienti più grandi usati per conservare l’acqua, l’olio, il vino, le olive…
A Matera esistevano intere famiglie di fornaciai che operavano in via della Croce. In esse, accanto agli oggetti sopra menzionati, venivano alla luce anche i ‘cuccù‘, fischietti dai colori vivaci che raffigurano pupe, gallinelle, cesti di fiori, uomini della legge o sculture bizzarre: essi nascevano dalle mani e dalla fantasia dei ragazzi ‘pestacreta’, che li vendevano cercando di arrotondare la misera paga che veniva loro corrisposta.